"Milan 1994": l'intervista a Riccardo Gentile sulla docuserie di Sky

7 Maggio 2024
- di
Arianna Botticelli
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Tempo di lettura: 6 minuti

MILAN 1994 DOCUSERIE SKY RICCARDO GENTILE - "Milan 1994, più che una squadra" è la nuova imperdibile produzione originale Sky Sport in cui si racconta l'indimenticabile Milan guidato da Fabio Capello, con la leadership di Silvio Berlusconi. Attraverso le sue parole a Rossonerisiamonoi.it, il giornalista e telecronista di Sky, Riccardo Gentile, che si è occupato della realizzazione di questa docuserie, ci invita a tornare indietro nel tempo e a rivivere a trent'anni di distanza la storica vittoria della Coppa dei Campioni del club rossonero ai danni del Barcellona guidato da Johan Cruijff.

Milan 1994, più che una squadra: l'intervista a Riccardo Gentile

Il Milan è sicuramente uno dei club europei che può vantare una storia incredibile e vincente. Cosa vi ha spinto, a parte questo aspetto, a creare questo speciale sul club rossonero?

"Sicuramente, il fatto che siamo esattamente a 30 anni da quella finale e quindi il valore della ricorrenza è stata la prima cosa. Ma anche la stagione un po' travagliata: il Milan arrivava da una finale persa contro l'Olympique de Marseille e dalla separazione da due grandi giocatori come Gullit e Rijkaard (uno andava alla Sampdoria e l'altro all'Ajax) e da Van Basten, che era ancora in rosa ma che non giocò mai per i problemi fisici che tutti purtroppo conosciamo. La stagione quindi nasceva con un senso di rivalsa dopo quella sconfitta in Coppa dei Campioni, ma con la certezza di essere ancora la squadra più forte del campionato italiano, visto che il Milan veniva da due scudetti. Quel Milan vide anche il sopraggiungere di due impegni che in stagione estiva non aveva in agenda, ma che gli sono stati assegnati dallo scandalo Marsiglia, il quale è stato messo fuori dalla Supercoppa europea e dalla Coppa Intercontinentale.

Quindi ci sono anche queste altre due delusioni che arrivavano da queste due finali, che per carità non erano previste, però il Milan le gioca e le perde: con il San Paolo a Tokyo e con il Parma alle Supercoppa europea. Quindi per il Milan di Fabio Capello, che arrivava dopo Sacchi, quest'allergia alle finali cominciava ad essere un problema. Il crescendo del racconto è proprio questo, sembrava un Milan che si stava quasi sgretolando e che poi alla fine della stagione tira fuori la cosa migliore, il capolavoro arriva proprio nel finale".

Il Milan di Berlusconi fino al 1994, anno della sua entrata in politica, ha vinto 15 trofei, mentre nei 22 anni successivi "solo" 14: crede che se il Presidente avesse continuato a dedicarsi esclusivamente alla gestione del club, al netto delle sue altre attività imprenditoriali, il Milan avrebbe potuto vincere ancora di più?

"Non abbiamo la controprova, ma indubbiamente il Berlusconi presidente del calcio è un qualcosa di difficilmente ripetibile nella storia italiana. Non tanto per il numero di Scudetti, che sono sicuramente un numero buono ma che non rappresentano un record, penso ad esempio alla striscia della Juve fatta di recente. Però quello che ha fatto in Europa il Milan, il calcio che ha esportato e la qualità di gioco che ha messo in mostra con Arrigo Sacchi in panchina e poi con Capello che è riuscito a prolungare quel tipo di magia, come anche quello di Ancelotti naturalmente, è qualcosa di difficilmente replicabile. Come è difficilmente replicabile essere così incisivi sul mercato, erano altri tempi e c'erano altre disponibilità... Non solo grazie al Milan , che è stato parte integrante di quest'epoca del calcio italiano, ma sono arrivati a giocare in Serie A i più grandi giocatori del mondo".

Crede che nel calcio attuale esista una figura presidenziale anche vagamente sovrapponibile a quella di Berlusconi? Ovvero un patron "tifoso" della società di cui è il vertice e che non si limiti alla mera funzione societaria? E perché sì/no?

"No in questo momento nel calcio italiano non c'è nessuno di paragonabile. Non c'è secondo me né un tifoso così schierato, a parte che molte sono proprietà estere in questo momento, ma anche quelle che hanno una proprietà italiana non possono essere assimilabili secondo me a quella che è stata la parabola del Milan di Berlusconi. Non tanto per i successi, ma anche per la capacità di acquistare grandi giocatori e la capacità di sfruttare quello che era il lavoro del vivaio (e questo nel documentario è spiegato molto bene). Se pensiamo alla difesa titolare del Milan di quel periodo, tutti o quasi i componenti di quella difesa, che era uno dei punti di forza di quella squadra, Costacurta è arrivato a 8 anni, Maldini è arrivato a 8 anni, Tassotti è arrivato sì dalla Lazio ma aveva 20 anni... L'unico preso da un altro vivaio è Christian Panucci che giocava al Genoa ma arrivò anche lui giovanissimo. Un altro che ha tantissimi anni di militanza rossonera era Filippo Galli, che spesso fu riserva ma che giocò da titolare per necessità la finale, e la giocò benissimo. Quindi anche questo mix tra campioni arrivati dall'estero e giovani cresciuti nel vivaio credo che in questo momento non lo ritroviamo da nessun'altra parte".

Capello ha dichiarato che se Berlusconi avesse ascoltato i tifosi nè lui, nè Sacchi avrebbero lavorato per il Milan. Oggi ha prevalso il no a Lopetegui. Cosa pensa della vicenda?

"Capello secondo me ha ragione, perché Sacchi fu messo in discussione, al primo anno fu molto criticato e Berlusconi in questo senso si impose. Lo stesso vale per Capello, che venne catapultato dalla gestione della polisportiva, uno sguardo attento a tutte le giovanili, alla prima squadra. Pur essendo stato un uomo di calcio, il dopo Sacchi e tutti i successi non sarebbe stato facile per nessuno. Anche Capello subì molte critiche, nonostante poi fu dominatore in Serie A. In quella stagione, in questo documentario, vengono messi in mostra gli scricchiolii che aveva in quella stagione il consenso per Fabio Capello da parte del pubblico. Poi la risposta la diede in modo enorme il campo.

Su Lopetegui, io spero per il Milan attuale che la decisione di virare su un altro allenatore non sia dettata dall'umore popolare, non che io abbia nulla contro l'umore popolare, ma sarebbe pericoloso farsi condizionare troppo dal giudizio del tifoso, perché a volte come la storia dimostra, se un imprenditore crede nel valore di un uomo, è giusto che lo difenda. Se all'epoca Berlusconi avesse ceduto alle critiche, e quindi allontanato Sacchi o addirittura Capello, non so se il Milan sarebbe poi stato così bravo a vincere tutto quello che ha vinto".

Le due stagioni migliori a livello difensivo negli scudetti del Milan sono quella dell'87-88 con Sacchi alla guida con 14 gol subiti e del 93-94 con Capello con 15,entrambi tecnici italiani. Per il post Pioli la maggior parte dei nomi accostati sono stranieri: quali tra questi crede che potrebbe ridare stabilità difensiva alla squadra?

"Tra i nomi accostati sino adesso al Milan secondo me sono interessanti sia Sergio Conceicao che Paulo Fonseca. Sono diversi come allenatori, nella fase difensiva Conceicao è un pochino più attento, fa un calcio meno spettacolare ma molto redditizio. È vero che guidare il Porto in Portogallo non dico che il compito sia semplice, però insomma è meglio guidare il Porto piuttosto che partire dal Vitoria Guimaraes. A prescindere comunque da questa battuta, credo che lui abbia dimostrato di saperci fare anche nelle ultime Champions League, conosce già il campionato italiano, potrebbe essere interessante.

Paulo Fonseca è già stato in Italia come allenatore, è un uomo di grande stile: i suoi anni alla Roma non lo testimoniano, è uno in grado di praticare un calcio molto divertente. A volte, se torniamo alla fase difensiva, le sue squadre concedono un po' troppo all'avversario. Sarebbe però un tema ricorrente con l'ultimo Milan di Pioli, a parte che nelle ultimissime partite che contano meno secondo me, ma in generale era una squadra che aveva facilità nel produrre e fare goal ma qualche problema in difesa ce lo aveva. Credo questo problema sia dovuto anche alla struttura della squadra".

Da acclamato tecnico che ha riportato lo Scudetto alla Milano rossonera dopo 10 anni, in questa stagione Pioli è stato aspramente criticato da buona parte del tifo milanista che ne ha chiesto a gran voce l'allontanamento. Cosa ne pensa?

"Penso che, come sempre, il presente che detta legge ed è anche molto ingiusto, ma da un lato funziona così, il mondo va avanti così. Pioli ha vinto uno Scudetto due anni fa, non venti anni fa. Quindi la bontà del suo lavoro credo debba essere riconosciuto anche da quelli che credono oggi sia il caso di cambiare. Una proprietà ha tutto il diritto di cambiare, se sceglie un altro capo, un altro leader, un altro comandante per il suo gruppo, si assume la responsabilità della scelta con i risultati che verranno. Visto che è tempo di bilanci, io posso dire la mia e credo che il bilancio di Pioli al Milan sia assolutamente positivo, perché lo ha riportato a giocare nell'Europa che conta, ha vinto lo Scudetto e giocato un bel calcio, ha fatto crescere dei giocatori... Insomma, secondo me ha lavorato davvero molto bene".

Qual è stata la cosa che più la ha colpita, che magari non ricordava, e che l'ha fatta più riflettere mentre faceva questo documentario e girava queste interviste?

"Io ricordavo ovviamente quella stagione, quella finale, ricordavo che il Milan fosse una grande squadra... Ricordavo che in finale erano squalificati Costacurta e Baresi, quindi tutti davano il Barcellona per favorito... Poi c'erano delle cose di quella stagione che invece non ricordavo ovviamente. Ricordavo naturalmente la discesa in politica di Silvio Berlusconi che fa parte della storia dell'Italia. Alcune problematiche all'interno di quella stagione non potevo ricordarle: ristudiandola tutta è stato interessante capire per esempio come Galliani a novembre, dopo l'infortunio di Boban, parte per Marsiglia e compra Desailly, loro avversario nella finale contro l'Olympique di Marsiglia... Le modalità con cui viene fatto quell'acquisto ed è interessante capirlo vedendo proprio il documentario. Oppure il rapporto che sì ricordavo un pochino turbolento tra Capello e Savicevic, ma non lo ricordavo così turbolento. Poi la cosa che mi ha colpito, lavorando su questo documentario, è come sia cambiato il mestiere del giornalista. Come siano cambiate le risposte e i contenuti dei protagonisti alle nostre domande. Riascoltando quelle parole si capisce la differenza di quelle risposte, anche di fronte ad argomenti molto spinosi, molto delicati. I protagonisti non si nascondevano, commentavano a caldo anche un caso che li riguardava, ad esempio il caso Capello-Savicevic. Pensarci adesso, con quella qualità che magari ritroverete guardando il documentario, con quella qualità di risposte e di contenuti, è molto difficile francamente".

Tutta la redazione di rossonerisiamonoi.it ringrazia Riccardo Gentile per la disponibilità mostrata nella realizzazione di quest'intervista.

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