Tomori: "Sono cresciuto guardando il Milan. Maldini? Ricordo che..."

13 Febbraio 2023
- di
Redazione RS
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Tempo di lettura: 3 minuti

TOMORI MILAN - Tra sacrifici e duro lavoro. Per Fikayo Tomori la strada che lo ha portato a diventare un calciatore professionista è stata un crescendo di responsabilità e grandi soddisfazioni. Il difensore del Milan, dunque, in un'intervista rilasciata a OneFootball ha raccontato qualche aneddoto sulla propria ascesa da giocatore e sull'attuale carriera.

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Milan, intervista a Tomori

"Ricordo che da giovane pensavo spesso a come si diventasse professionisti. Uno scout del Chelsea, poi, è andato a parlare con mio padre, dicendogli che avrebbero voluto avermi nella loro academy. Il primo giorno, c’erano ragazzi da tutta Londra. Non è stato facile. Ricordo, infatti, di aver detto a mio padre di non essere sicuro voler di tornare. Lui, invece, mi rispose che sarei tornato. Avevo bisogno di un posto dove mettermi alla prova".

La figura del padre

"Mio padre mi ha sostenuto molto. Mi comprende più della maggior parte delle persone. Dice che, nella vita, tutto si basa sulla diligenza. Se lavori per qualcosa, se ti applichi e lo vuoi, allora avrai successo. È qualcosa a cui penso sempre".

A Stamford bridge con papà

"Non ricordo quanti anni avessi, nove o dieci forse. Vedemmo Didier Drogba passarci accanto durante il riscaldamento. Ci guardammo e pensammo che di solito lo vedevamo in TV, mentre ora potevamo vederlo in 3D".

Thierry Henry, l'idolo di Tomori

"Thierry Henry era il mio idolo. Indossavo sempre i guanti e mi tiravo i calzini fino alle ginocchia. Mi assicuravo di ripetere la sua esultanza se segnavo anch'io la domenica".

Il debutto in Champions League

"Contro il Valencia a Stamford Bridge. Pensavo solo a fare bene. Era ciò che desideravo da anni. Passai l’intera giornata a prepararmi. Poi, però, la partita passò in un lampo”.

L'arrivo al Milan

"Ricordo la telefonata di Paolo Maldini. Ero cresciuto guardando il Milan dei tempi d’oro e i suoi giocatori. Indossare il rossonero è stato surreale. San Siro, poi, è come un monumento. Lo puoi vedere dalla strada mentre passi e sembra si rivolga verso di te. I giorni delle partite, i tifosi sono lì due ore prima dell’inizio e sbattono sul pullman. Si vede il loro entusiasmo e si sente l’energia che emanano".

Il calcio inglese e quello italiano

"Quando sono arrivato in Italia, ho dovuto pensare al mio stile di gioco. Qui, è importante capire dove posizionarti rispetto al pallone e come passarlo. È più specifico e dipende dai movimenti della squadra. È diverso rispetto all’Inghilterra, dove si gioca in base all’istinto. In Italia, penso si tenda ad eliminarlo. Il passaggio lungo, inoltre, fa parte del mio gioco. Essendo un centrale difensivo, a volte ho bisogno di giocare la palla lunga. Ci sto lavorando. Si tratta di acquisire tecnica, di sentirmi a mio agio nel farlo con entrambi i piedi. Poi, sto attento alla mia velocità, a quante volte vado in pressing o in recupero, e a quanta distanza sto coprendo. Il prossimo livello, sarà essere presente in entrambe le aree. Dominante in aria, a terra e nei duelli".

La prima rete in Champions League

"A San Siro si giocano campionato e coppe nazionali, ma quando arriva la Champions League è tutto diverso. Le luci sono più accese e si ascolta l’inno. Quando tutto lo stadio canta, ti viene la pelle d’oca. Ricordo quando ho segnato contro il Liverpool. Ripensandoci, mi sono reso conto di averlo fatto a San Siro, per il Milan, in Champions”.

Occhi puntati sul futuro

"Il mio sogno nella vita è non avere rimpianti. Vorrei poter dire che ho fatto tutto quello che potevo fare. Naturalmente, il sogno principale è vincere la Champions League, la Coppa del Mondo e ancora lo Scudetto".

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