Albertini: "Due partite indimenticabili: la finale del '94 contro il Barcellona e il mio addio". E su Weah...

17 Aprile 2020
- Di
Arianna Botticelli
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Tempo di lettura: 2 minuti

MILAN ALBERTINO - Demetrio Albertini, ex centrocampista del Milan, ha rilasciato un'intervista a Milan Tv nel corso della trasmissione On-off the Pitch. L'ex rossonero ha parlato della sua avventura milanista, rivelando anche degli episodi inediti.

Milan, l'intervista ad Albertini

"La prima volta col Milan avevo 10 anni, giocai un torneo a Prato, me lo ricorderò sempre. Giocammo contro Torino e Roma e lo vincemmo. È stata la mia prima vera partita con la maglia rossonera, poi invece, la prima volta che sono stato ufficialmente trasferito dalla Primavera, e dalle giovanili, alla Prima Squadra, è stato nel 1988-89. Periodo estivo, quando c’erano le Olimpiadi, mancavano alcuni giocatori ed io avevo appena compiuto 17 anni. In quel momento lì arrivò Arrigo Sacchi e, con l’aiuto di Fabio Capello, che era il coordinatore, mi hanno portato in Prima Squadra".

Le partite indimenticabili

"Le partite che non cancellerò mai sono tantissime, però due in particolare: la finale di Champions League del 1994 contro il Barcellona e la mia partita d’addio, perché è stata un po’ la sintesi di quello che posso aver costruito nei rapporti umani con i miei compagni di squadra. Quindi non solo le vittorie, ma tutto quello che abbiamo costruito, dove tutti hanno voluto essere presenti: una festa non solo mia, ma di tutta quella generazione".

Quella che cancellerebbe

"Quella che vorrei dimenticare, o che vorrei rigiocare, è la finale di Champions League contro l’Olympique Marsiglia, forse perché ero l’unico in campo che non aveva ancora realmente alzato la coppa avendola giocata. Ero sì con la squadra nel 1989 e nel 1990, ma non giocando titolare. Quindi sfuggire a quest’idea di non avere la mia foto con la Champions mi è dispiaciuto tanto".

L'aneddoto su Weah

"Voi tutti sapete di George Weah, il suo saluto diventò "Ciao a tutti, belli e brutti". Fu una sfida, gli dissi, mentre Carlo Pellegatti lo stava intervistando, "Voglio vedere se riesci a dirlo", perché lo dicevamo sempre nello spogliatoio. Era una cosa che gli avevo suggerito ed è diventata sua e sono contento di questo. Alla fine tante volte George, grandissimo campione e grandissimo personaggio, ha legato anche a questo tipo di saluto la sua permanenza al Milan".

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