MILAN BONAVENTURA - Jack Bonaventura è tornato. Il gol al Napoli non è stato un fuoco di paglia. Il centrocampista ex Atalanta è andato a segno anche nella trasferta di Bologna ed anche ieri, pur non essendo arrivata la vittoria, è risultato uno dei più positivi nell'undici rossonero. Il posto da titolare a centrocampo sembra ormai definitivamente riconquistato, sebbene il cammino non sia statao facile come lo stesso giocatore spiega in una lunga intervista rilasciata a DAZN. Ecco le sue parole.
"Vivevo alla giornata. La cosa che mi dava più fastidio era vedere gli altri giocare, magari la squadra che non andava bene con qualche sconfitta. Stare a casa a guardare la partita senza poter dare una mano, è stata una parte dura. Poi per il resto volevo fare le cose per bene, andando a Milanello ad allenarmi. Allenarmi è sempre un piacere. Ho pensato a viverla positivamente visto che sono cose che, dentro una carriera, ci possono essere. Nei primi periodi, dopo l’operazione al ginocchio, pensavo spesso “chissà se ce la farò a tornare a giocare, a scattar come prima”. I dottori mi avevano detto di sì. Avevo grande fiducia in tutti e dentro di me sapevo che sarei rientrato. È ovvio che è sempre un’operazione e qualche dubbio ce l’hai sempre. Perdi un po’ di fiducia, ma dentro di me lo sapevo che ce l’avrei fatta a tornare. Io ci ho messo tanto del mio e ho affrontato questo problema fisico che quando si gioca a pallone, si mette in conto".
"Era tanto che stavo fuori e risentire San Siro che esulta a un mio gol è stata una liberazione. Avevo accumulato un po' di rabbia perché non stavo giocando tanto, ma io mi sentivo bene. Quindi c’è stata tanta emozione, perché è stata una liberazione in una partita così importante".
"Bergamo è sicuramente una città che mi fa emozionare. Sono stato tanti anni, ero molto giovane. Ho passato anni bellissimi e ho conosciuto gente che lavora per l'Atalanta con grande amore per la Dea. Tornare a Bergamo è speciale. Sono contento anche che l'Atalanta sia diventata una realtà importante del calcio italiano".
"Per lui provo grande gratitudine. All'inizio, per farmi mettere in campo, dovevo fare sempre meglio degli altri. E mi ha fatto crescere tanto. Nelle difficoltà, uno tira sempre fuori il meglio di se stesso. Ha usato più il bastone che la carota. Urlava tanto. Finite le partite, rivedendola dentro di me, vedevo i miei errori e già sapevo dove mi avrebbe corretto alla ripresa degli allenamenti".
"Penso che il leader venga eletto dal gruppo. Non è uno che si proclama leader. Cerco di fare il meglio e dare il massimo, che è la cosa che conta più di tutti. La qualità che mi ha aiutato negli anni è stata la perseveranza. Se si lavora con passione e con amore per lo sport che si pratica, qualcosa di buono viene sempre fuori".