Un viaggio alla scoperta di Marco Giampaolo. Federico, fratello minore dell’allenatore del Milan e tecnico della Recanatese (formazione marchigiana che milita nel campionato di Serie D), ha parlato in esclusiva ai microfoni di Rossonerisiamonoi.it.
“Abbiamo iniziato nel settore del Giulianova e dopo tutta la trafila abbiamo giocato insieme in prima squadra in C2 nella stagione 1986/1987. Io facevo l’attaccante e lui il centrocampista. Un ricordo particolare? La passava sempre a me non agli altri (ride, ndr). Era una questione di sangue”.
“Lui ha fatto una carriera modesta, con un solo anno in Serie B ad Andria mentre poi ha giocato sempre in Lega Pro, e ha fatto molta gavetta. Poi l’episodio dell’infortunio alla caviglia, che lo costrinse a ritirarsi a soli 30 anni. Da lì, iniziò prima a fare il Team Manager a Pescara e poi il vice allenatore a Giulianova. Quella fu un po’ una sfortuna perché smise di giocare ma anche una fortuna perché entrò subito nel mondo dirigenziale. Mi ricordo che quando giocava ed era allenato da tecnici che riteneva molto bravi, era solito prendere appunti. Aveva già in mente di fare l’allenatore”.
“A inizio estate si parlava della possibilità di andare al Milan, ma fino a quando non si firma… Anche perché lui ha avuto esperienze - con Juventus e Roma - di contatti che poi non si concretizzarono. Era un’attesa non entusiasta perché nelle altre occasioni non andò bene. Poi è arrivata la chiamata di Maldini. Secondo me è giusto che alleni una squadra di grandissimo livello come il Milan perché ha fatto un percorso lungo dieci anni, con gli ultimi quattro tra Empoli e Sampdoria in cui ha fatto sempre molto bene. Ora può giocarsi questa carta importante”.
“Il tempo è un rischio. Al Milan il risultato conta tantissimo, ma bisogna dire che è stato ricostruito un po’ tutto. Marco ha potuto allenare alcuni giocatori molto poco. Il tempo per un allenatore è fondamentale, e lo è soprattutto per uno che ha le idee ben chiare. Non si può trasmettere subito a una filosofia di gioco che si ha in mente. Dall’altra parte, in una piazza come quella del Milan, se si sbaglia una partita - come accaduto a Udine - diventa tutto più difficile. Non c’è il tempo per programmare tutto”.
“La Juventus ha pensato a lui prima di Sarri? Non lo so. Forse non me l’ha detto per scaramanzia... So che c’era un’insistenza da parte del Milan, e poi si è concretizzato tutto”.
“Nel 2009, lo accompagnai a Torino a parlare con Blanc. Era fatta al 90% e gli dissero: ‘Domani sarai l’allenatore della Juventus’. L’indomani, il Consiglio d’Amministrazione si riunì e scelse Ferrara”.
“La schiettezza paga sempre. Lui dice quello che pensa senza luoghi comuni o scorciatoie. Questo dovrebbe essere apprezzato. Parla sempre apertamente. Quando un allenatore ha delle idee ben precise, deve portare avanti il progetto che ha in mente, cercando di lavorare e migliorare”.
“Marco ha sempre detto che lavorare con due campioni come loro aiuta. Sono stati due grandissimi calciatori e conoscono le dinamiche dello spogliatoio e dell’ambiente Milan. Sicuramente è un vantaggio in più”.
“Più sali di categoria e più aumenta la professionalità. Si è trovato benissimo. Il gruppo lo segue, c’è solo da migliorare e portare a casa i risultati con il lavoro”.
“Ho letto che il Milan ha la rosa più giovane della Serie A. Questo la dice lunga: la società ha puntato su un progetto a lunga scadenza e dunque il tempo è fondamentale. Lui è stato etichettato come un allenatore che valorizza i giovani. Ci vuole il tempo giusto per far migliorare i ragazzi e fargli capire le idee dell’allenatore. Non si può fare questo in 10/15 giorni, per cui c’è bisogno di lavoro. Ma se hai giocatori professionali, che hanno voglia di apprende e di migliorarsi, è più facile bruciare alcuni step”.
“Marco mi ha sempre detto che non c’è un problema Piatek. Lui ha provato un modulo di gioco, il 4-3-1-2, ma il polacco è più un calciatore di profondità, meno tecnico. Secondo me per quel tipo di gioco servono calciatori rapidi e tecnici, come lo erano Quagliarella e Caprari alla Sampdoria. Piatek ha trovato un po’ di difficoltà perché si era spesso spalle alla porta. Serve tempo per far assimilare il cambio di modulo a un calciatore. Ora, conoscendo meglio le caratteristiche, può cambiare tutto: servono le partite per conoscere meglio i calciatori e il pre-campionato non è un test attendibile. Ma qualcosa sta cambiando. In ritiro aveva 8/9 giocatori della Primavera. È ovvio che se non hai tutta la rosa a disposizione in una fase fondamentale come questa, diventa tutto più complicato. Penso che dopo la sosta, quando la squadra inizierà a lavorare con lui, partirà una ‘nuova’ avventura. Calhanoglu? Marco ha sperimentato. Il turco ha fatto ottime partite da playmaker, poi non ha giocato benissimo a Udine”.
“Fin da piccolo, è stato sempre molto professionale. Ci teneva molto quando giocava: curava molto l’alimentazione, era sempre presente agli allenamenti. Quando gli capitava di andare in panchina nel settore giovanile del Giulianova, nonostante la giovane età non mollava mai, anzi era sempre presente agli allenamenti. Ha avuto sempre le idee ben chiare, che sono uscite fuori quando è diventato allenatore”.
“Marco mi ha confessato che disse che voleva andare via al Team Manager, che comunicò la decisione al presidente (Corioni, ndr). Ma la società non voleva che lo facesse, ma che ci ripensasse. Non è vero che andò via senza dire niente, non è nel suo carattere. Loro aspettarono perché volevano convincerlo a restare, ma lui aveva già deciso che l’esperienza di Brescia era finita”.
“Era ottimo. Marco mi diceva che quando era con lui non parlava mai di calcio. È un presidente ‘furbo’, che arriva dalla strada e capisce i meccanismi di un rapporto interpersonale. Estroso e divertente, non entrava mai in merito a questioni calcistiche”.
“Alla Sampdoria è stato molto bene. Ha lavorato con tranquillità e ha raccolto grandi risultati; ha generato molte plusvalenze a Ferrero. Ha fatto un gioco moderno e divertente. È stato un triennio di altissimo livello".
“Mi ha sempre detto che Skriniar era fortissimo, come poi si è confermato, così come Torreira, che arrivava dal Pescara. Schick era molto forte tecnicamente, ma quello che lo ha più impressionato è stato Zielinski, allenato ai tempi di Empoli, un giocatore che definiva ‘universale’”.